Accadde il: 31 dicembre 1858. Debutta “la Bella Gigogin”
FolkNewsGENNAIO2023
di Daniele Fumagalli
“Gigugin, bella gigugin
La cantava il nonno all'osteria, non so la melodia
Ma è una parola che mette allegria, lascia una scia di magia, quindi chiamo lei la mia” (Articolo 31)
1. Un successo istantaneo ma duraturo
Notte di San Silvestro dell’anno 1858. Teatro Carcano di Milano. I musicisti di quella che a giorni diventerà ufficialmente la Banda Civica stanno per eseguire un pezzo nuovo, inedito. Una allegra e vivace polka composta dal milanese Paolo Giorza. Il maestro e direttore della banda, Gustavo Rossari, dà il via: e già dopo poche note il pubblico è in delirio. Domanda il bis non una, non due ma ben otto volte: e per otto volte risuonano le note della “Daghela avanti un passo. Polka per pianoforte sopra motivi di canzoni del popolo milanese e a lui dedicata”. In seguito, sarebbe stata nota come la Bella Gigogin.
Ecco il debutto del canto risorgimentale più diffuso e cantato a Milano (e non solo), fino a non molto tempo fa.

Paolo Giorza
autore della musica della Bella Gigogin
Citata nelle pellicole Piccolo mondo antico di Soldati, nel Gattopardo di Luchino Visconti (e nell’omonimo libro di Tomasi da Lampedusa); come anche da artisti apparentemente lontani dalla musica popolare, quali gli Articolo 31 o Elio e le Storie Tese, la bella gigogin è dunque nota da allora. Un successo dovuto sicuramente al motivo orecchiabile… e non solo.
“vati dai turbini del vento, cantavano alcune strofe della Bella Gigogin trasformate in nenie arabe, sorte cui deve assuefarsi qualsiasi canzonetta che voglia essere cantata in Sicilia” (Tomasi da Lampedusa)
2. Un testo dalla difficile analisi
Il testo è facilmente reperibile in numerose raccolte e, come testimoniato dallo stesso sottotitolo originale, nasce da un miscuglio di varie strofe popolari. L’entusiasmo con cui i milanesi accolsero la canzone è facilmente intuibile alla luce dei fatti dell’epoca. La bella gigogin è infatti un canto, a suo modo, politico: atto a rappresentare le frustrazioni e le speranze della Milano austriaca, che strizzava l’occhio al cosiddetto Re galantuomo piemontese invitandolo a spicciarsi. Daghela avanti un passo, Vittorio Emanuele: muoviti e vieni a liberarci dagli austriaci.
Ancora una volta il nostro patrimonio folkloristico si rivela una preziosissima fonte storica, ricca di spunti. Le allusioni politiche del testo oggi ci sembrano vaghe, ma allora dovevano essere ben note. Proviamo a fare qualche ipotesi con le nostre consuete alleate: le ricerche di archivio.
Rataplan! Tambur io sento;
Che mi chiama la bandiera;
Oh che gioia! Oh che contento:
Io vado a guerreggiar.
Rataplan! Non ho paura
Delle bombe dei cannoni;
Io vado alla ventura:
Sarà poi quel che sarà.
Nanni Svampa ricorda nel suo La mia morosa cara. Canti popolari milanesi e lombardi (Lampi di stampa, 2007, p. 35) come questa prima strofa pare non facesse parte dell’esecuzione del 1858. Un invito così palese alla guerra non sarebbe certo stato digerito dagli austriaci.
E la bella Gigogin. Col tremille-lerillellera
La va a spass col sò spingin
Col tremille-lerillerà
“Spingin” in milanese significa fidanzato, ma anche pretendente. Gigogin, vezzeggiativo (in dialetto piemontese!) di Teresa, sarebbe dunque la Lombardia stessa che flirta con il Piemonte, come suggerito da diversi interpreti. Più difficile è dare una chiave di lettura delle strofe seguenti.
Di Quindici anni facevo all'amore:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuore.
A sedici anni ho preso marito:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuor.
A diecisette mi son spartita:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuor.
Come già detto, daghela avanti un passo sarebbe l’invito al Piemonte a liberare la “Gigogin Lombardia” dal giogo austriaco. Non abbiamo rintracciato nelle nostre ricerche alcuna interpretazione del resto della strofa. Dunque, timidamente, ne proponiamo una noi. Se il soggetto parlante è la Lombardia, i suoi quindici, sedici e diciassette anni potrebbero identificarsi con le sue vicende politiche del 1500, 1600 e 1700. Nel corso di tutto il 1500 la Lombardia conobbe una serie di sussulti politici, ben rappresentati dal “fare l’amore”, mentre al contrario il 1600 fu caratterizzato dall’avere “preso marito”. In quel secolo fu totalmente e stabilmente una colonia del regno di Spagna. Idea rafforzata anche da una curiosità tutta dialettale. Moglie si dice in milanese Mujer, come “donna” in spagnolo. Infine: nel 1707, in seguito al trattato di Baden, la Lombadia si separò (spartirsi, sempre in milanese) dal Regno Spagnolo e fu ceduta all’Austria.
La vén, la vén, la vén a la finestra,
L'è tutta, l'è tutta, l'è tutta inzipriada;
La dìs, la dìs, la dìs che l'è malada:
" Per non, per non, per non mangiar polenta
Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza."
Lassàla, lassàla, lassàla maridà.
Molti sembrano confermare le nostre tesi indicando che la ragazza che non vuol mangiar polenta sarebbe la Lombardia stessa, stufa della gialla bandiera austriaca.
Le baciai, le baciai il bel visetto, cium, cium cium,
La mi disse, la mi disse: " Oh che diletto!", cium, cium, cium,
Là più in basso, là più in basso in quel boschetto, cium, cium, cium
Noi anderemo, noi anderemo a riposà.
Gli austriaci comunque non capirono, o forse finsero di non capire, la proverbiale antifona: difatti, il brano fu suonato alle quattro della mattina del capodanno 1859 al palazzo del viceré austriaco, per il consueto - e dovuto - omaggio. Il quale per inciso non fece una piega. Non solo: anche le bande austriache impararono a suonarla, e quando a Magenta, il 4 giugno 1859, si trovarono di fronte le truppe franco-piemontesi, accadde un fatto curiosissimo. Gli eserciti si scontrarono intonando lo stesso inno militare!