Accadde il… 2 febbraio 2021. Muore Pepi Merisio, testimone dei mestieri scomparsi
FolkNewsMAGGIO2023
di Daniele Fumagalli
In un’edizione speciale dedicata al lavoro, impossibile trattenersi dal citare l’opera di un grande fotografo lombardo, il caravaggese (o caravaggino che dir si voglia) Giuseppe Merisio, per tutti Pepi. Egli come pochi ha saputo immortalare le trasformazioni della nostra terra lombarda: in questo senso, i suoi scatti sono realmente storici. Consapevole di operare in un mondo in rapida trasformazione, un mondo in cui i paesaggi ed i personaggi stavano radicalmente mutando aspetto, egli seppe immortalare – con sguardo stupendamente moderno – le ultime propaggini di ciò che noi oggi definiamo folklore e tradizione.
Sotto questo specifico aspetto, sicuramente merita uno sguardo Italia della nostra gente; la grande collana dedicata all’Italia che parte dal 1982 e giunge fino ai nostri giorni, con 38 volumi dati alle stampe. Nata dalla collaborazione di più editori, viene poi inclusa nelle Edizioni Casse Rurali e Artigiane (ECRA) che tuttora ne cura la pubblicazione. Di particolare interesse per questa edizione speciale di Folknews dedicata al lavoro è sicuramnte il volume I mestieri di una volta, da cui sono tratte le immagini che seguono (per gentile concessione di ECRA).

Questo viaggio nel tempo in terra lombarda ha dunque inizio al mercato del bestiame di Delebio, in Valtellina. Ecco lo scatto di Pepi Merisio.
Di particolare pregio, oltre che l’estremo realismo, sono i dettagli. I portafogli che venditore ed acquirente tengono, sembrerebbe, con estrema attenzione (“tra pelle e camicia”, citando Sciascia), il volto segnato e mal rasato dell’allevatore, i pesanti maglioni per le rigide stagioni valtellinesi.

Citata anche nel capolavoro di Bertolucci Novecento, la trebbiatura del grano costituiva un momento fondamentale del raccolto. Pepi immortalò questo lavoro con estremo realismo in una corte di Cologno al Serio. Si noti il contadino che si ristora con un goccio di vino, presimibilmente per mandar giù la polvere che si intravede nell’immagine, i vecchi calzun de velüt dell’uomo e ul scusal della figura femminile.

Rimaniamo sempre nel bergamasco. Carona, cave di ardesia. I tetti di molte delle case di quelle montagne sono, ancor oggi, spesso realizzati con quella pietra compatta, di colore plumbeo-nerastro, facilmente lavorabile. Sembra quasi che lo spaccapietre ritratto da Merisio sia in totale sintonia con il suo lavoro. Stesso colore pumbleo nerastro nel volto, stessa compattezza nel corpo esile ma muscoloso, stessa malleabilità – espressa nel lavoratore da abiti rattoppati e da una cintura di spago – che trasmettono per contrasto una grande ricchezza umana ed una grande dignità. La dignità di un lavoratore consapevole del proprio “posto nel mondo”, e dell’importanza del proprio lavoro. Una immagine che sembra citare Peter Schultz: «Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. “Spacco pietre” rispose il primo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una cattedrale” disse il terzo».

Citazione quasi d’obbligo in un articolo di Folknews, impossibile omettere il ritratto che Pepi fece, nella sua Caravaggio, a Battista “Batistelo” Rossetti, costruttore di bilifù (sifoi nella bergamasca, fregamüsun in Brianza e firlinfeu nell'erbese e nel lecchese).

“E gira la roeda la gira” recita la canzone del Muleta. Quella ruota azionata a ritmo di pedale dallo stesso arrotino, ad energia meccanica e non elettrica. Eccone uno ritratto da Pepi Merisio a Pomponesco, sulle rive del Po, nel mantovano. Con la sua macchina arcaica, ul muleta faceva il giro del paese gridando per le strade la sua presenza e le massaie di affettavano a dargli forbici e coltelli da cucina da affilare. Un mestiere prettamente ambulante già in via d’estinzione all’epoca dello scatto, risalente a mezzo secolo orsono.

Rimanendo nella canzone popolare lombarda: molti sono i canti di filanda che testimoniano le difficili condizioni di lavoro delle povre filandere ("ghe n’ari mai ben)". Un lavoro faticoso, quello della filatrice di seta, che Merisio sa raccontare con un’efficacia priva di qualsiasi elemento retorico, scattando all’interno della filanda Fumagalli una immagine meravigliosa.

Egualmente di rilevo è lo scorcio della tipica bottega del falegname di Vighizzolo di Cantù. Fra gli attrezzi, ben visibile in primo piano una pialla ed i rotoli di carta vetrata. Elemento meno noto per i profani, ma degno di interesse, è la pentola sulla stufa nello sfondo: contenente la colla per assemblare i mobili.

Concludiamo questa rassegna di immagini con i farée (fabbri) ritratti da Merisio a Cucciago. Anche in questo caso Merisio ha avuto lungimiranza, in quanto sono oggi quasi del tutto scomparsi coloro che sanno fare opere in ferro battuto, attualmente realizzate in serie (con tanto di errori di stampa voluti e previsti, per simulare che si tratti di opere artigianali).


Un sincero ringraziamento a Luca Merisio ed Angelo Porro, per la disponibilità accordata a Folknews