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Appunti di un etnomusicologo. Canti di lavoro in Lombardia. Capitolo 1. La protesta

FolkNewsMAGGIO2023

di Daniele Fumagalli

La Lombardia ed il lavoro: un binomio indissolubile. L’estrema dinamicità economica che ha caratterizzato da sempre la nostra regione, fortunato crocevia di commerci e culla dell’artigianato, trova testimonianza anche nei canti lombardi che hanno come tema il lavoro, e sovente le difficoltà legate ad esso.
Tradizionalmente, il primo maggio una festa che nasce dalle proteste dei lavoratori. Anche la canzone popolare lombarda ha degli esempi di canti di lavoro ed insieme di protesta. 
(NB. Sono esclusi da questo numero i canti di filanda e di risaia, in quanto – anche nella protesta – costituiscono a nostro parere un filone “a sé stante” degno di un apposito capitolo. Nota dell’autore)

O PAISAN

O paisan
i cavalé van male
o paisan
i cavalé van male
i cavalé van male
furment e furmentun
ghe paserà l’anada
senza pagà ’l padrun

O sciur padrun
i cavalé van male
o sciur padrun
i cavalé van male
i cavalé van male
furment e furmentun
ghe paserà l’anada
senza pagà ’l padrun

O paisan
impiantem su di scioper
impiantem su di scioper
di scioper e di burdèi:
e paserà l’anada
senza pagà cinq ghei.

Questo canto fu raccolto dal siciliano Antonino Uccello a Seregno, nel 1961. Risale probabilmente ad inizio ‘900, con riferimenti alla cultura del baco da seta (cavalé) ed all’impossibilità dei fittavoli di sostenere i canoni imposti dal padrun. Interessante è  l’accenno allo sciopero, tema talvolta toccato nei canti popolari lombardi dedicati al lavoro (in opposizione ad altri canti dominati dallo spirito della rassegnazione). Ne troviamo un esempio anche nel pavese (Ferrera Erbognone) in un canto datato 1912, intitolato Le mondine contro la cavalleria.

Il ventiquattro di maggio a Ferrera,
un grande sciopero, terribile guerra:
erano tutti in una stretta via,
'accompagnati dalla polizia.

Nel veder le crumire uscire
le scioperanti si misero davanti:
" Se avete il coraggio di andare
ci tradite noi tutti quanti ".

Nel veder le crumire ostinate
le scioperanti si misero davanti
e lor si sono gettate per terra:
" Calpestateci se avete il coraggio

Il commissario, con grande amarezza:
"Non ubbidite alla pubblica sicurezza;
non vedete che questa è viltà?
se non vi alzate vi faccio 'restà.

Le scioperanti si sono alzate:
" Non è vero che questa è viltà;
son venuti e han fatto violenza
trascinandoci con libertà ",

Il commissario, con grande ironia,
disse agli altri: Andate pur via:
si ferma solo la Provera Maria,
che con noi la vogliamo portar ".

La ragazza andav pian piano,
l'hanno condotta davanti al Sultano;
il Sultano sbeffando gli disse:
"Son contento e ancor più felice".

Le scioperanti non dicon parola,
si recarono in mezzo alla folla
e sentiron la brutta novità:
"Il vostro Riba ve l'hanno arresta",

Quando Riba fu giunto sul treno,
con la mano ci diede l'addio:
Non piangete, miei cari compagni.
che ben presto sarò qui con voi".

A Sannazaro che sono arrivati
l'hanno rinchiusi in una prigione
come se fossero dei malfattori,
mentre invece era gente d'onor.

Tredici giorni di malinconia
fu terminato in grande allegria:
hanno lasciato il Elba e Maria,
l'abbiam coperto di rose e di fior.

Anche nel mantovano abbiamo tracce di canti di lavoro e protesta. Anche in questo caso, il padrun è bersaglio delle ire del contadino, costretto a lavorare a stomaco vuoto ed in condizioni usuranti.

MA VA LA TI CONTADIN
 

Ma va là tí contadin
ca t' laori dí e nott
a t' laori dí e non
per polenta e scigolòtt
ma va là tí contadin
ca t' si semper sensa vin
a gh'è l'acqua in abbondansa
tutt al dí t'fa mal la pansa
contadin a la matina
tò su 'l fer e va a segar
e 'l padron co la sua sciora
va nei campi a passeggiar.

Tornando in Brianza abbiamo una altra testimonianza di canti “non rassegnati”. Si noti la presenza di termini dialettale molto interessanti: ghei (lire, soldi, in tempi più recenti centesimi), paisan (contadino). Incerto – per le nostre non eccelse conoscenze dialettali - è il termine pendizzi. Chiedendo ai familiari più anziani, ha il significato di preoccupazione, pensiero. Nella canzone però sembra essere un termine riguardante canoni da corrispondere al proprietario del terreno. Consultiamo dunque telefonicamente Antonio Silva, autorità di dialetto brianteo (nonché presentatore storico del Premio Tenco) che ci conferma questo significato. Ma mentre siamo al telefono lo stesso prof. Silva consulta il Cherubini (vocabolario Milanese – italiano) e riusciamo a venire a capo della questione. I pendizzi in origine erano, stando al vocabolario: “Quei regali, consistenti per lo più in lino, pollami, uova, selvaggiumi o simili, che il conduttore di beni rurali è obbligato a mandare – in certi periodi dell’anno – al locatore”. Il termine è andato poi per antonomasia ad indicare una preoccupazione. Una tesi confermata anche dal testo di Nanni Svampa (vedi bibliografia)

Quaranta ghei d'inverno, cinquanta d'està;
se ghe ie dassen, sti pover paisan,
nanca farìan una pell de pan.
O donn, o donn, andémm, andémm,
andémm in piazza a fà burdell!
An piantà in pé sta rivulusiun
tutt in grasia di nòster padrun.
La rivulusiun l'àn piantà
per fà calà i fitt de cà
e pu pendizzi de pagà;
ma el padrun el dis inscì,
che i paisan i-a de fà murì;
l'a de fà murì, l'a de fà crepà
ma la rivulusiun la se dev fà:
tuta la mubilia che gh'è in Milan
l'è tuta roba di pòer paisan;
i pòer paisan intanta in là a spettà
la letera dell'America che la dev rivà.

Sandra Mantovani, grandissima etnomusicologa lombarda, ha inciso un canto originario del parmense, datato 1908 e riportato, in quella data, su un foglio volante. Interessante è che questo canto in italiano, rispetto a quelli in dialetto, sembra esser maggiormente intriso di una certa retorica e appare, anche ad una lettura superficiale, molto meno “popolare” dei precedenti.

E PER LA STRADA 


Poveri figli miei abbandonati,
con dolore vi debbo oggi lasciare,
con fulgide speranze d'ideali
un dì, contenta, vi potrò abbracciare.

 

Sì, combattiamo per un fulgido avvenir
pei nostri figli siamo pronti anche a morir.

 

E per la strada gridava i scioperanti:
Non più vogliam da voi venir sfruttati;
siam liberi, siam forti e siamo tanti
e viver non vogliam di carcerati.

E nelle stalle più non vogliam morir;
è giunta l'ora, siam stanchi di soffrir.

Ma da lontano giungono i soldati
avanti tutti assieme coi padroni

e contro i scioperanti disarmati
s'avanzan sguainando gli squadroni.

Essi non fuggono, forti del loro ardir:
i figli del lavoro son pronti anche a morir.

Eppur convien restar senza dolore,
pronti a soffrir la fame e ogni tormento;

bisogna far tacer pur anche il cuore,
di madre il puro affetto e il sentimento.

Sebbene oppressi e torturati ancor,
noi combattiamo sempre, combatteremo ognor.

E presto il dì verrà che, vittoriosi,
vedrem la redenzion nell'albeggiare;
muti staran crumiri e paurosi
vedendo l'idea nostra trionfare.

Così il lavoro redento alfin sarà
e il sol del socialismo su noi risplenderà.

Non possiamo che chiudere questa rassegna di canti di protesta con una parentesi dedicata al lavoro femminile ed alla sua condizione. In tutta la valle padana, dal Veneto al Piemonte, ha conosciuto larghissima diffusione il canto La canzone della lega, conosciuta anche come Sebben che siamo donne. Composta negli anni della più dura attività delle Leghe contadine, tra il 1900 e il 1914, il canto è citato anche in Novecento di Bertolucci.

Sebben che siamo donne,
Paura non abbiamo:
Per amor dei nostri figli,
Per amor dei nostri figli;

Sebben che siamo donne,
Paura non abbiamo,
Per amor dei nostri figli
In lega ci mettiamo.

 A oilì oilì oilà e la lega la crescerà 
E noialtri socialisti, e noialtri socialisti
A oilì oilì olià  e la lega la crescerà 
E noialtri socialisti vogliamo la libertà.

E la libertà non vien
Perchè non c'è l'unione:
Crumiri col padrone
Son tutti da ammazzar.

 A oilì oilì oilà...

Sebben che siamo donne,
Paura non abbiamo:
Abbiamo delle belle buone lingue
E ben ci difendiamo.

A oilì oilì...

E voialtri signoroni
Che ci avete tanto orgoglio,
Abbassate la superbia
E aprite il portafoglio.

A oilì oilì oilà  e la lega la crescerà 
E noialtri socialisti, e noialtri socialisti
A oilì oilì olià  e la lega la crescerà 
E noialtri socialisti i voroma vess pagà.

Bibliografia

Nanni Sampa. La mia morosa cara. Canti popolari milanesi e lombardi. Lampi di stampa. 2007.
Roberto Valtorta (a cura di). Musiche tradizioni in Brianza. Le registrazioni di Antonino Uccello. Squilibri. 2011.
Roberto Leydi, I canti popolari italiani, Oscar Mondadori, 1973.
Vettori Giuseppe, Canzoni italiane di protesta, Roma, Newton Compton.

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