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Il tabarro: un indumento... comune

FolkNewsMAGGIO2023

di Lina Cabrini

L’etimologia del termine tabarro è incerta: forse dal tardo latino “tabardus”, “tabardum” per indicare variabilmente il mantello, la veste o la toga.
Nei dizionari della lingua italiana si definisce così: ampio mantello senza maniche da portare sopra il vestito o il cappotto. In questa breve definizione si racchiudono secoli di storia. Un indumento che ha fatto parte dell’abbigliamento di poveri e ricchi, ha rivestito militari e briganti, contadini e proprietari terrieri, pastori, commercianti e ambulanti.
Antenato e precursore del tabarro fu certamente il mantello portato dai romani, che lo indossavano sopra la veste: era munito di cappuccio, veniva usato dai meno abbienti (sia uomini che donne) e in seguito adottato anche dalle classi nobili.
Questo antenato del tabarro veniva adoperato soprattutto in inverno quando bisognava ripararsi dal freddo, necessità primaria per sopravvivere nei tempi bui del medioevo.
Nel 1300 il tabarro veniva indossato sotto il mantello e si presentava con ampie maniche ed era indossato da medici, magistrati, mercanti, ed ecclesiastici. Nel ‘500 il termine andò invece a disegnare indumenti anche profondamenti diversi fra loro: un'elegante giacca, con maniche aperte sul davanti, portata dagli scudieri del Doge, oppure al contrario un indumento di stoffa scadente indossato dai galeotti e dalle classi più umili della società. Sempre nella Venezia seicentesca esso diventò invece il simbolo dei cittadini della classe media, detti “da tabarro”.
Successivamente questa moda conquistò anche le dame che vollero servirsi del tabarro per aggiungere maggior grazia alla figura femminile attraverso le sue belle pieghe e i suoi pittoreschi panneggi. Da allora, esso ha mantenuto la sua importanza giunta fino al ‘900, pure contrastato dall'affermazione di nuovi tipi di soprabito.
Nel primo Novecento il tabarro, differenziato per ampiezza e tessuto, era ancora indossato d'inverno da tutti, dai contadini, dai montanari, ai soldati, ai notai.
Successivamente, soprattutto nel secondo dopoguerra, il cappotto soppiantò definitivamente il tabarro, che rimase diffuso unicamente nelle campagne e nei piccoli centri agricoli come abbigliamento popolare. 
In tutta la pianura padana il tabarro conobbe una straordinaria diffusione: strumento combattere il clima invernale nebbioso e umido che entrava nelle ossa.
Cosa meglio di questo indumento di lana per proteggersi?
Nella pianura bisogna aggiungere anche il fatto che tutti andavano in bicicletta per spostarsi e vento e freddo non penetravano in quella speciale “corazza” indossata sopra gli abiti. 
Negli scritti di Don Camillo di Guareschi, nei racconti ambientati durante l’inverno, si legge spesso che “Don Camillo, preso il pesante tabarro, se ne avvolse e inforcò la bicicletta…”. Segno evidente dell’uso quotidiano dell’indumento.
Oggi è tornato ad essere un capo artigianale molto ricercato.

Nel mondo del folklore, nelle manifestazioni autunnali e invernali, viene indossato a caratterizzare ulteriormente gli usi e costumi delle tradizioni popolari appartenenti ai gruppi delle varie realtà territoriali. 

Ed ecco, alcune foto del Tabarro in uso nei costumi dei Gruppi folklorici.
 

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Picett del Grenta -Valgreghentino (Lecco)

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Il tabarro del gruppo
La Tradizion di Grosio (Sondrio)

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Tabarro a ruota intera
I Brianzoli di Ponte Lambro (Como)

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Tabarro con apertura per l’uscita delle braccia.
In versione femminile, lungo con mantellina. 
Berghem Baghet (Bergamo)

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Baghèt Baniatica Ensemble (Bergamo)

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I Bej di Erba (Como)

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U “scapularu"

Tabarro con cappuccio
Usato dagli anziani siciliani in inverno   

Sicilia nel Cuore (Milano)

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Attilio Gasparotti
Trentino Alto Adige

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Il Tabarro del Gruppo Folklorico
I Bosini di Varese

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I tabarri del gruppo
Arlecchino Bergamasco Folk di Bergamo

Vista la sua diffusione comune a tutte le regioni italiane, ecco una rassegna dei vari termini dialettali con cui venne, e viene, designato questo indumento

Lombardia
Tabàr
Gabà (Alta Val Seriana)

 

Veneto
Tabari

Emilia Romagna
Tabàar

Trentino Alto Adige
Pelandìn (gergo Val Rendena)

Molise
Tabbarre


Calabria

U Caravisiddu” o “Cappa”

Sicilia
Scapularu

 

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