Il Duca di Piazza Pontida è il Padre del Folklore 2022 per la Lombardia. Intervista a Mario Morotti.
FolkNewsSETTEMBRE2023
di Laura Fumagalli
Era il 14 aprile 2023, quando, durante la manifestazione “Rassegna di musiche e canti folklorici ed etnici” di Mormanno, in Calabria, la Federazione ha nominato Mario Morotti Padre del Folklore per l’anno 2022 per la Lombardia.
Per me che sono bergamasca, Mario equivale a “Duca di Piazza Pontida”. Ma voi che leggere da tutta la Lombardia (e oltre, spero), potreste non conoscerlo a fondo come me.
L’ho intervistato e ora vi racconto chi è Mario Morotti.

Mario, oggi tutti ti conosciamo come il Duca di Piazza Pontida. Raccontaci come ti sei avvicinato al mondo del folklore.
Erano gli anni Ottanta, avevo 20 anni e vivevo a Villa di Serio. Mi sono inventato una nuova manifestazione legata alla vita contadina e alla vendemmia. Era la “Sagra dell’Uva” e alla fine l’ho organizzata per 14 anni. Era una festa improntata sulle tradizioni in cui invitavo gruppi folklorici a sfilare ed esibirsi in paese; prima solo gruppo locali e poi, via via, gruppi nazionali e alla fine anche esteri. La quarta domenica di settembre Villa di Serio veniva invasa da una sfilata di carri allegorici costruiti dai gruppi del paese e, tra i carri, sfilavano i gruppi folklorici.
Per la prima edizione, ospiti i Gioppini di Bergamo: in quegli anni avevo consolidato un forte legame con il Papa (Angelo Piazzoli, detto Papa, è stato per tanti anni guida dei Gioppini di Bergamo) che mi ha permesso di conoscere più da vicino il mondo del folklore, bergamasco e non solo. Negli anni Ottanta ho avuto anche il piacere di conoscere un trio speciale che molti ancora ricordano, “Me lü e chel’ Oter”; erano quasi sempre ospiti della “Sagra dell’Uva”.
Poi gli anni passano e la festa non viene più organizzata. Nel 2000 mi capita, per caso, di incontrare Tito Oprandi, l’anima di “Me lü e chel’Oter”, in occasione dei fuochi per la Sacra Spina di San Giovanni Bianco.
Mi ha chiesto perché non organizzavo più la “Sagra dell’Uva”. Una battuta tira l’altra e alla fine mi ha domandato se non fossi mai stato al Ducato. Non c’ero mai stato e lui è stato per me il biglietto da visita. Mi ha introdotto al Duca che all’epoca era Bruno Agazzi. Così ho iniziato a frequentare il Ducato di Piazza Pontida e ho messo al servizio del sodalizio la mia voglia di organizzare eventi.
Dopo una prima esperienza con una festa in Piazza Pontida per il cambio della moneta, da Lira e Euro, il Ducato vede in Mario una buona capacità organizzativa e la possibilità di rendere viva la Piazza che allora era vuota e lontano dal bel passeggio dei bergamaschi.
Il Duca affida quindi a Mario la responsabilità di diventare il referente per gli spettacoli del Ducato e dal 2007 anche la Tesoreria Ducale.

Questo fino al 2014, quando sono stato nominato Duca di Piazza Pontida e ho scelto il nome Smiciatöt” (in bergamasco colui che vede tutto, che getta lo sguardo in tutte le direzioni e si accorge di tanti particolari). Ed eccomi qui, dopo tanti anni, ancora Duca e ancora impegnato nell’organizzazione di eventi: è una passione che è nata fin da giovane e che si è sviluppata grazie a tante esperienze e a tante persone che ho incontrato e che mi hanno insegnato l’arte dell’organizzazione degli eventi. Primo fra tutto Mino Baracchi. A 18 anni lavoravo da lui come impiegato, negli stessi anni lui organizzava il Trofeo Baracchi, una corsa di ciclismo unica al mondo. Mino mi ha insegnato che sono i piccoli dettagli quelli che rendono il successo della manifestazione: spesso sono piccolezze che nessuno nota ma anche fanno la differenza.
Oggi, Mario, sei Padre del Folklore. Senti che hai vinto la sfida o ci sono ancora mete all’orizzonte che vuoi raggiungere?
Essere nominato Padre del Folklore è stato un grande orgoglio. Un traguardo che non considero rivolto solo a me, ma al Ducato intero, il gruppo di lavoro che rappresento con onore.
Certamente però le sfide non sono finite. Gli obiettivi da raggiungere non finiscono mai! Vorrei continuare ad organizzare eventi. In questi ultimi anni il Ducato ha organizzato spettacoli, corsi, serate legati al mondo delle tradizioni, a partire dal Festival Internazionale del Folklore. Da un po’ di tempo abbiamo anche riportato in piazza l’opera lirica: in fondo anche questa è una delle grandi tradizioni del nostro paese, una di quelle che fa conoscere l’Italia nel mondo. E tutti questi eventi hanno il compito di dare visibilità al nostro territorio.
Prossimamente partiranno anche altre sfide: la digitalizzazione completa del Giopì, l’organo di stampa del Ducato, e la creazione di un archivio del dialetto bergamasco che possa contenere immagini, video e audio.

In questi ultimi due anni il mondo del folklore ha subito perdite, sia in termini di gruppi folklorici, sia in termini di conoscenze di cultura popolare. Ti cosa ne dici? Qual è il futuro del folklore e cosa possiamo fare noi?
Io non sono così pessimista. Certamente il momento che stiamo attraversando è difficile, ma credo che nella storia ci siano sempre alti e bassi. Due sono le cose di cui abbiamo bisogno in questo momento: tempo e ricambio generazionale. Solo così il mondo della cultura popolare potrà rialzarsi.
Io credo fortemente nei giovani e penso che definire le nuove generazioni solo in base al fatto che hanno sempre il cellulare tra le mani sia solo una frase fatta.
La loro vita è permeata dalle nuove tecnologie, certo, ma il nostro compito è quello di spiegare loro che c’è altro, dobbiamo insegnargli la tradizione, invitarli a guardarsi intorno e conoscere la loro storia e il loro territorio.
Il mezzo per raggiungere questo scopo è la scuola. È difficile, ma dobbiamo continuare a battere questo tasto. Spesso mi capita di andare a scuola a spiegare ai ragazzi la nostra tradizione: li vedo molto attenti, sono incuriositi dalle nostre radici. Dobbiamo solo saperli coltivare. E per attrarli dobbiamo creare qualcosa di divertente.
Ultima domanda: sei un grande del folklore. Ma non ti abbiamo mai visto in abito, hai mai ballato?
No no, non ho mai danzato in vita mia. Qualche anno fa, durante il Festival Internazionale del Folklore, due ospiti stranieri mi hanno portato di peso sul palco per farmi danzare. Mi sentivo fuori posto. Proprio non fa per me!
Io preferisco organizzare e lascio agli altri il compito di cantare e di ballare. In fondo la mia è pur sempre una forma di volontariato verso il folklore. E il volontariato rendo l’uomo grande. È la cosa più bella che può fare una persona. In qualsiasi campo si voglia intendere, il volontariato è pura passione, ed è meraviglioso.
